venerdì, 29 Marzo 2024
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JULIÁN CARRÓN/ Avevamo disertato la realtà, il coronavirus ci fa tornare indietro

Che cosa sta succedendo?
Siamo davanti a una sfida senza precedenti per la nostra generazione. Lo ha sintetizzato bene su El País il poeta spagnolo Julio Llamazares: “Oggi compio 65 anni, nel momento più critico che abbia mai conosciuto”. La situazione che stiamo vivendo ci ha resi consapevoli che in questi anni abbiamo, per certi versi, vissuto come in una bolla, che ci faceva sentire sufficientemente al riparo dai colpi della vita. E così siamo andati avanti distratti, fingendo che tutto fosse sotto il nostro controllo. Ma le circostanze hanno scombinato i nostri piani e ci hanno chiamato bruscamente a rispondere, a prendere sul serio il nostro io, a interrogarci sulla nostra effettiva situazione esistenziale. In questi giorni la realtà ha squassato il nostro più o meno tranquillo tran tran assumendo il volto minaccioso del Covid-19, un nuovo virus, che ha provocato un’emergenza sanitaria internazionale. La realtà, dalla quale spesso fuggiamo per poter respirare per l’incapacità di stare con noi stessi, questa volta è stata inclemente, costringendo la maggior parte di noi a restare chiusi in casa, a fermarsi. E in questo isolamento sta emergendo ai nostri occhi – forse per la prima volta in modo così palese e diffuso – la nostra condizione esistenziale. Come lessi anni fa in un giornale americano, un carcerato, costretto a fare i conti con anni di privazione della libertà, alla fine non aveva potuto evitare di fermarsi e pensare: stop and think. Anche noi, abituati a scappare in mille modi da noi stessi e dall’appello profondo delle cose, in questo tempo non abbiamo forse potuto evitare di fermarci e pensare.
Che cosa ha fatto scoppiare la “bolla” di una vita sotto controllo?
L’irrompere imprevisto e imprevedibile della realtà, con la faccia del Coronavirus. Lo descrive in modo efficace il romanziere spagnolo José Ángel González Sainz: “Nella vita di un paese o di una persona, ci sono momenti in cui la realtà, la realtà più concreta e oggettiva, la più cruda e meno condita da ricette e dai cuochi abituati a cucinare mentalità e storie, irrompe improvvisamente con una violenza spaventosa a cui non eravamo abituati. La realtà non diventa reale in quel momento, era sempre stata reale, era lì fin dall’inizio, ma la sua maggiore leggerezza ci ha permesso di non guardarla continuamente faccia a faccia, era sufficiente farlo con la coda dell’occhio e concentrarsi su quante storie e illusioni ci venivano servite, più o meno piacevoli o ingannevoli. […] Quando ciò che sta al fondo effettivo e indiscutibile delle cose, che le sostiene tutte, scoppia improvvisamente e dilaga sfuggendo al controllo – o alla vertigine – della parte illusoria della nostra vita, la visione della illusione in cui abbiamo vissuto, e dalla quale abbiamo considerato la realtà, trema. Questo è quello che sta succedendo adesso, ovunque”. Ciò che è accaduto è come un maremoto, un’esplosione vulcanica, che ci ha trovato inermi. González Sainz prosegue mettendo allo scoperto il motivo di tale debolezza: “L’abitudine a sostituire le cose e i fatti con il loro uso strategicamente fraudolento, la realtà con l’ideologia, la verità con l’impunità dell’inganno e l’essenziale con la banalità, ci mette nella peggiore condizione per stare di fronte a una vera e propria vendetta della realtà”. La realtà si è ribellata al suo misconoscimento, ha di colpo rivendicato il suo ruolo ‘primario’. Come scrive Fernando De Haro, un amico giornalista della radio spagnola, facendo eco al romanziere citato: “La realtà […] era lì ma non l’abbiamo vista. Ora ha irrotto in modo rumoroso. […] La realtà è entrata senza chiedere permesso. […] Ora ciò di cui abbiamo bisogno è di rendere ‘le viscere della realtà il cuore dell’intelligenza’ (J.A. González Sainz)”.

Ma che cosa significa “rendere ‘le viscere della realtà il cuore dell’intelligenza’”?
Significa che l’irruzione potente della realtà ha fatto riemergere in tutta la sua portata quell’esigenza di capire che chiamiamo ragione. A volte, per le fatiche della vita o per pigrizia, arrestiamo il cammino dello sguardo e ci fermiamo all’apparenza, rimaniamo alla superficie delle cose, come se tutto il mondo si esaurisse nei luoghi comuni che respiriamo o in ciò che vediamo attraverso il buco della serratura della nostra misura razionalista: una misura angusta, troppo piccola, e alla fine soffocante (proprio il soffocare è la spia che siamo rimasti all’apparenza). Solo l’impatto – accettato – con la realtà può spalancare nuovamente la ragione. È sempre un contraccolpo, un essere colpiti, a far sì che i nostri occhi si aprano: la conoscenza implica nel suo sorgere e nel suo svilupparsi una originaria dimensione affettiva. Quanto più una realtà ci colpisce e ci interessa, tanto più lo sguardo della ragione si schiude, si protende, si acuisce, non si accontenta di soluzioni a buon mercato. Le cose si rivelano nel loro senso e nella loro pregnanza d’essere solo a una ragione affettivamente impegnata. Il sentimento che la realtà suscita (stupore, paura, curiosità) è un fattore essenziale alla visione, è una “lente” che avvicina l’oggetto. È quello che si è verificato. Ciò che è accaduto ha ridestato la nostra attenzione, rimettendo in moto la nostra ragione, portandoci a riconoscere, al di là di comodi schemi, che “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che nella tua filosofia”, per dirla con Shakespeare. In questo momento la ragione riemerge cioè come “quell’avvenimento singolare della natura in cui questa si rivela come esigenza operativa a spiegare la realtà in tutti i suoi fattori, così che l’uomo sia introdotto alla verità delle cose”.
Capiamo adesso perché siamo finiti nella bolla. Per tanto tempo ci siamo forse potuti permettere di disertare l’impatto con la realtà – che pure non ha mai smesso di accadere e di interpellarci –, non ci siamo lasciati sfidare da essa, abbiamo creduto di averla addomesticata, protetti da una condizione privilegiata di vita. “Un individuo che avesse vissuto poco l’impatto con la realtà, perché, ad esempio, ha avuto ben poca fatica da compiere, avrà scarso il senso della propria coscienza, percepirà meno l’energia e la vibrazione della sua ragione.” Oggi è non dico impossibile – perché non vi è nulla di meccanico nell’esperienza umana –, ma certo tremendamente difficile sottrarsi all’urto della realtà, diventata così inesorabilmente e drammaticamente sfidante. In ogni caso, chiunque si risparmierà la provocazione del reale, degli avvenimenti, non potrà sperimentare fino in fondo quella vibrazione ineffabile della ragione e del cuore che ci rende uomini. E nelle ultime settimane abbiamo visto accadere copiosamente i segni di questa umanità, che ci hanno riempito di gratitudine e stupore.