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omelia domenica 29 settembre 2019

XXVI^ DOMENICA DEL T. O. ANNO C 2019
Il vangelo che oggi ci propone la liturgia della Parola, direi che l’abbiamo “studiato” in occasione della catechesi biblica di settembre.
Come ho ripreso più volte, si tratta di una pagina del vangelo da non leggere come se si trattasse di un racconto tra i tanti. Le parabole provocano a fermarsi e a scegliere poi la strada da seguire.
Il tema proposto è la finalità della nostra vita.
A cosa veramente siamo chiamati e, quindi, perché vivere?
Ricordo la battuta di un mio professore che ci diceva:”Qual è la differenza tra un credente e un ateo?”
Il senso che si dà alla morte.
Oggi il vangelo ci invita a ricordare proprio questo.
Tra i protagonisti della parabola, il ricco, per il solo fatto che non ha un nome, a differenza del povero Lazzaro, sta a sottolineare il “vuoto” che c’è dentro una persona che si affida alle sue ricchezze a differenza di Lazzaro che si affida a Dio.
È bene sottolineare questo aspetto. Il povero non si salva solo perché è povero, ma perché si affida a Dio. Ricordiamo le beatitudini:”Beato i poveri in Spirito”.
Il ricco si affida alle sue ricchezze, alle sue forze. Pensa di vivere in eterno, dimenticando non solo che c’è Dio, ma anche la finalità stessa della vita.
La parte interessante del Vangelo è il fatto che Dio offre al ricco l’occasione di cambiare. La carità si fa occasione nel povero che viene a bussare alla porta e che, invece, viene lasciato fuori.
La seconda parte del Vangelo è interessante e ci provoca ancora di più perché tocca un argomento che spesso riprendiamo: La domanda di fondo che rivolgiamo a Dio:”O Signore fai un miracolo”.
Il ricco dice ad Abramo:” “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”.
Pensiamo davvero che il miracolo fa la fede?
Papa Benedetto XVI^ commentava questo brano e riportava un altro passo del vangelo in cui Gesù risorge Lazzaro.
Cosa succede dopo, visto che tanti si convertivano dopo aver visto il miracolo? Così scrive l’evangelista Giovanni, dopo l’incontro nel Sinedrio per discutere su questo miracolo: ” Da quel giorno, dunque, deliberarono di farlo morire”.
Quando penso alla provocazione che Gesù fa al nostro cuore di vivere la carità, anzi di farsi occasione di carità, mi viene sempre in mente il pensiero di Guillaume Pouget:”Non lo si inventa il Cristo, perché è troppo scomodo”.
Chi veramente si sente provocato, cerca di vivere dentro di sé una ricerca che lo scuote dentro e nello stesso tempo si pone in avanti per vivere la carità che non è un fare…
Concludo con quello che disse S. Madre Teresa di Calcutta quando le fu consegnato il premio nobel della Pace e che ci aiuta a capire la differenza tra carità e volontariato sociale: ” Credo che noi non siamo veri operatori sociali. Forse svolgiamo un lavoro sociale agli occhi della gente, ma in realtà siamo contemplative nel cuore del mondo. Perché tocchiamo il Corpo di Cristo ventiquattro ore al giorno. Abbiamo ventiquattro ore di questa presenza e così voi e io”.