venerdì, 19 Aprile 2024
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omelia XXV^ ANNO DI SACERDOZIO 11-12-19


Voglio ringraziare Dio Padre per il dono della vocazione.
Lo ringrazio perché nella sua Misericordia scrive sempre nelle righe storte e perché per servirLo sceglie sempre i più miserabili.
Più che nel ringraziamento delle parole io ripeto a me stesso il passo di Luca:” A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”.
Mi chiedo se tutto “è compiuto”.
La Parola di Dio ti risuona dentro e ti spinge a guardare sempre oltre, a non buttarti a fare tante cose e a vivere, così, un sacerdozio pragmatico come se la nostra vocazione avesse senso solo se facciamo tante cose. Nella santa solitudine ci riscopriamo amati da un Altro proprio per quello che si è. Occorre riscoprire nel proprio animo il “per chi” viviamo la fede e non il “per cosa”.
Ringrazio mio papà perché ha offerto il suo lavoro, la sua felicità, il suo vivere con sano orgoglio l’essere padre di un sacerdote e per il dono della sua libertà di genitore per il mio cammino vocazionale.
Ricordo ancora quando nei primi giorni in cui mi trovavo in seminario mi disse :”Io vado a lavorare perché tu possa diventare prete, ma se tu non vuoi, io posso offrirti solo quello che faccio io”.
Per questo rinnovo il mio dire in occasione del suo funerale: ”Un uomo semplice può cambiare la storia, perché Dio ama nella semplicità delle cose”.
Lo ringrazio anche per il dono della sua testardaggine che mi aiuta a vivere il dono della missione senza lasciarmi abbandonare nei momenti di difficoltà.
La mamma non si ringrazia. Di lei si fa memoria il vivere ancora oggi il dono della sua maternità sacerdotale e il suo essere presenza vera.
Lo capii un giorno quando, ancora studente, le dissi:”Perché non hai seguito papà in Svizzera? A quest’ora stavamo bene anche economicamente”. Lei mi rispose:”Chi mi dice che se fossi andata lì tu saresti nato? E poi stanne certo che se eravamo nella ricchezza, tu non saresti diventato prete. Ed io sono più felice di aver un figlio sacerdote che stare nel bene”.
Ringrazio i miei fratelli e le loro famiglie. Solo vivendo questa comunione, si riesce a vivere la serenità del sacerdozio. Senza di loro, non sarei quel che ora sono. La famiglia è tutto e non un momento.
Ringrazio i miei zii, le mie zie e tutti coloro che durante gli anni del seminario hanno contribuito con la loro benevola beneficenza. A tutti loro assicuro in ogni occasione la mia preghiera in suffragio delle loro anime.
Voglio ringraziare, infine, due donne importanti nella mia vita, le due mie zie, Marianna e Nella, perché mi hanno educato a capire che un nipote si può amare come un figlio anche senza la materialità del parto.
Il cammino vocazionale è limitato quando è soffocato dalle preoccupazioni di questo mondo. Ringrazio sempre Dio per il dono di vivere la libertà e per essere ogni giorno quella “bestia indomabile” perché solo vivendo la realtà con libertà, si vive e non si rimane in attesa.
Siamo come“Tori a Pamplona”recitava una canzone tormentone del 2017.
Tutto parte da un incontro, sia una scintilla per un fuoco nuovo o anche la chiusura di una porta.
Il protagonista del film “Il vecchio e il mare” disse:
”In un momento cruciale della sua vita ”Dentro si è rotto qualcosa”.
Ricordo il mio primo incontro con il parroco di allora, Don Domenico Carchidi che a scuola, ci parlava di Gesù . A lui rivolsi
questa domanda: ”Perché Giuda ha pianto dopo il tradimento?” Egli mi rispose:”Hai fatto una bella domanda”. Non so perché, ma da quel giorno decisi di diventare prete. La mia vocazione è nata dal tradimento di Giuda. Dio scrive davvero nelle righe storte.
Ho avuto sempre degli educatori che non si sono limitati a insegnare, ma anche a testimoniare. Ho sempre cercato di cogliere il loro messaggio. A tanti altri rivolgo questa provocazione:”Non dire sempre all’altro cosa fare o meno. Ogni tanto è bene fermarsi e domandare:” Tu che ne pensi?”
Per questo penso che noi rimaniamo nell’ignoranza o legati ai limiti della formalità, fino a quando non oseremo.
Bernansos diceva:” Non si guarda all’avvenire come le mucche guardano passare un treno. L’avvenire si fa”.
Quando iniziai il cammino di Scuola di Comunità, del libro “Si può vivere così”, mi ha colpito un passo e i capitoli sulla fiducia e sulla povertà.
Don Giussani ci insegnava proprio questo:”A noi non appartiene nulla, neanche il secondo che è passato”.
Educazione è saper riconoscere la presenza di Cristo nella costante del tempo. Tutto è lì. Un istante che si ripete non è mai lo stesso.
Ripeto anche ora quanto affermai 25 anni fa:”Per Cristo, Con Cristo e in Cristo”.
Io vivo quella presenza in ogni volto che incontro nella mia vita.
Il senso della caritativa, amare l’altro è un incontro con Cristo. Bisogna sforzarsi a lottare e non fermarsi alla simpatia o all’antipatia di colui che hai di fronte.
Anche se l’ho vissuto per un breve periodo, ho sempre amato il dono del diaconato e per questo ho voluto festeggiare la data della mia ordinazione nella semplicità della mia famiglia e con gli amici più cari. Sacerdozio significa vivere il servizio di stare con l’altro.
Avrei desiderato vivere questo momento come l’ho vissuto per 20 anni, con i miei amici del campo Insieme con i disabili. Il Signore ha scelto diversamente e Lo amo per questo, perché non lascia nulla al caso.
Una sera di maggio, guardando sui tetti di Chiaravalle, c’era una nebbia molto densa. Avrei potuto ripetere la classica frase:”Dietro le nuvole c’è sempre l’azzurro” ma quella sera dietro la nebbia c’era solo altra nebbia. Io dissi a me stesso quella frase che Don Camillo pronunciò quando andò in un paese lontano:”Ora o Signore sento la tua voce: Tutto è bello quassù”.
Ciò che fa la differenza nel fare o meno, l’ideale puro del sacerdozio è e rimane la salvezza delle anime. Questo ha insegnato il nostro Patrono, il Curato d’Ars. Tutto mira a questo. Il resto è solo una cornice al dipinto della vita.
Nella nostra vita un filo conduttore ci lega e ci conduce in tutto ciò che facciamo. Questo filo conduttore per me è stato il film:”Marcellino pane e vino”.
Noi siamo bambini. Viviamo in ricerca, orfani di un bisogno, di un Padre che riconosciamo nella bellezza di una Madre.
Lo sguardo a Colui che è Crocifisso, non ti giudica ma ti accoglie.
Per me la centralità dell’opera si avverte quando Marcellino incontra “Manuèl”. In quel momento scopre la presenza di Gesù nell’angelo custode.
Dio non è un amico immaginario, ma una presenza più vera che mai che incontri nel cuore.
Anni fa lessi il libro”L’amico immaginario” di Matthew Dicks.
In quel momento riscoprii che un’affettività lega per sempre, andando anche al di là della domanda del perché abbiamo scelto strade diverse. In questo dramma che rinnovo ancora oggi, riscopro quell’amore che non mi ha mai lasciato. Abbiamo il nostro Manuèl che ci guida nel cammino della vita e che ci porta a continua scelte.
Guardo in avanti perché la virtù della povertà porta con sé il dono della libertà di essere.
Guardo in avanti perché 25 anni sono un turno di veglia nella notte.
Ieri dopo la concelebrazione eucaristica con il nostro Papa Francesco, non sapendo cosa dire in quel momento, ripetei semplicemente:”Domani festeggio i 25 anni di sacerdozio” ed egli mi ha rispose:”Coraggio ne hai ancora altri 25”. Sinceramente dopo ho pensato:”Ma è un augurio o una penitenza?”Egli stesso nell’omelia ha detto:” Come consola, il Signore? Con tenerezza. Come corregge, il Signore? Con tenerezza. Come punisce, il Signore? Con tenerezza”. “Ti immagini, sul petto del Signore, dopo aver peccato?”
Ringrazio Dio per la compagnia che si è fatta presenza in tutti voi che siete qui per vivere con me la gioia di vivere la giovinezza della vocazione. Una volta, prima del Concilio, quando il sacerdote stava per iniziare la S. Messa si diceva:”Rallegra la mia gioventù”.
Lo ringrazio perché rinnova in me il dono della memoria, il riconoscerLo in ogni istante. Il sacerdozio è tutto e non una parte della tua vita.
La ricerca di riscoprirsi amati da una tenerezza ti fa riscoprire la bellezza di essere, nonostante tu sia il contrario. Il“Don Giovanni” di Milozs ci insegna a non lasciarsi fermare mai da ciò che abbiamo sempre vissuto e considerato il vero ideale della vita, a rimettersi sempre in gioco nella vita che viene di fronte a te non come vuoi tu, ma come te la offre il Signore.
Porto nel mio cuore l’immagine della Madonna del Ferruzzi. Questa figura di donna per me è la sintesi della bellezza, si rivolge ad un Altro, si cerca il divino e, come diceva Boneffer:”Un divino che non faccia fiorire l’umano non merita che ad esso ci dedichiamo”.
Solo riconoscendo questo amore che viviamo nel dono dell’Eucarestia, si fortifica il sacerdozio.
Chi cerchiamo e cosa viviamo veramente?
Grazie, o Signore che mi fai porre sempre questa domanda che lascia la risposta sempre aperta perché possa vivere ogni passo che porta in avanti e non a fermarsi nel sentirsi soddisfatti di se stessi. Non cadiamo nell’errore di pensare solo all’arrivo come se una vita vale solo se vinciamo.
Chi sono io lo sa soltanto Dio e forse io. Non mi fermo al giudizio di questo mondo perché tutto passa, ma l’amore in Cristo permane in ogni attimo come se fosse un dipinto mai completato a cui pongo la mia attenzione e vivo la bellezza nella contemplazione della mia stessa vita.