martedì, 14 Maggio 2024
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Una Chiesa che non sia un capannone della carità”-Roberto Celia

”Una Chiesa che non sia un capannone della carità”.


Ciò che viene da Dio è sempre un dono, un mettersi in gioco con se stessi, un fare “critica”.
Don Giussani nell’opera “Il rischio educativo” scriveva:” Portato il sacco davanti agli occhi, ci si rovista dentro. Sempre in greco, questo «rovistarci dentro» si dice krinein, krísis, da cui deriva «critica». La critica, perciò, consiste nel rendersi ragione delle cose, non ha un senso necessariamente negativo”.
Noi rovistiamo dentro questa realtà odierna e scopriamo quello che, a volte sottovoce e a volte a voce alta, abbiamo detto più volte:
Una Chiesa considerata sempre più un’associazione di volontariato a cui ci si rivolge come se fosse “un capannone della carità”.
Ogni giorno viviamo come le Chiese, in questo tempo di pandemia, si sono svuotate. Il senso religioso ha lasciato spazio al nulla perché senza la fede in Cristo risorto, c’è solo il nulla.
Cerchiamo di riempirlo con un’offerta materiale che non sarà mai il vero dono del senso della vita che solo un Altro ci può offrire.
Come avviene anche nelle scuole per l’insegnamento di religione cattolica e sottolineo cattolica, tanti alunni non aderiscono all’insegnamento di tale disciplina.
“La percentuale di studenti diminuisce inesorabilmente, molti insegnanti, pur appassionati, cedono allo spirito del tempo nel nome “del dialogo”, ma rimane la possibilità di offrire una prospettiva di senso”. (Marco Luscia)
La nostra identità, il vero senso di appartenenza da cui nasce il nostro fare, fa sì che non sia volontariato o solidarietà ma caritativa, il fare carità, il condividere il dono della fede in Cristo, nella condivisione di essere comunità con l’altro, non una distinzione tra poveri e bisognosi. La comunità ha un unico bisogno che riscopriamo in Colui che ama l’uomo.
Mi colpiva l’espressione letta velocemente un giorno su una rivista:
”Cristo non ha amato l’umanità, ma l’uomo!”.
Questo amore che diventa carità per noi non si limita solo ad un dare. Spesso pensiamo di risolvere il tutto, come se l’amicizia si limitasse ad una pacca sulla spalla, a quel fare paternalistico che mi suona come un distacco dalla tua vita. C’è, invece, una condivisione del senso di ciò che viviamo insieme.
Una carità, separata da questa condivisione, ci porterà ad essere una “Chiesa capannone” che vale solo finché offrirà la materialità del senso della vita.
“Non sono i fatti a contare nella vita, conta solo ciò che grazie ai fatti si diventa”.(Etty Illesum)
Non perdiamo la nostra appartenenza a Colui che noi abbiamo incontrato.
Questo incontro nuovo si rinnova nell’incontro con l’altro.
La gioia della missione nasce da questo incontro.
La sintesi della missione l’ho sempre riconosciuta nelle prime righe della prima lettera di Giovanni: ” Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena”.
La carità è comunione, non un’offerta, non un market solidale della spesa. E’ solo il ri-cordare, il riportare al cuore il comandamento di Cristo:”Amatevi, come io ho amato voi”.
CELIA ROBERTO
DIRETTORE CARITAS DIOCESANA