sabato, 27 Luglio 2024
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Coronavirus, il testamento del medico cristiano che per primo ne comprese la gravità


“Non voglio essere un eroe.
Ho ancora i miei genitori, i
miei figli, la mia moglie incinta che sta per partorire e molti dei miei pazienti nel reparto.
Sebbene la mia integrità non possa essere scambiata con la bontà degli altri, nonostante la mia perdita e confusione,
dovrei procedere comunque.
Chi mi lascia scegliere questo paese e questa famiglia?
Quanti reclami ho?
Quando questa battaglia sarà finita, guarderò il cielo,
con lacrime come la pioggia.

Non voglio essere un eroe.
Ma come medico,
non riesco a vedere questo virus sconosciuto che fa
male ai miei coetanei e a così tante persone innocenti.
Anche se stanno morendo,
mi guardano sempre negli occhi, con la loro speranza di vita.

Chi avrebbe mai capito che stavo per morire?
La mia anima è in paradiso,
guardando il letto bianco,
su cui giace il mio stesso corpo,
con la stessa faccia familiare.
Dove sono i miei genitori?
E la mia cara moglie,
la signora che una volta ho avuto difficoltà a inseguire?

Combattere fino all’ultimo respiro.
C’è una luce nel cielo!
Alla fine di quella luce c’è il paradiso di cui spesso la gente parla.
Ma preferirei non andarci.
Preferirei tornare nella mia città natale a Wuhan.
Ho la mia nuova casa lì,
per la quale devo ancora pagare il prestito ogni mese.
Come posso rinunciare?
Come posso rinunciare?
Per i miei genitori perdere il figlio quanto deve essere triste?
Per la mia dolcezza senza suo marito, come può affrontare le vicissitudini del suo futuro?

Me ne sono già andato
Li vedo prendere il mio corpo,
metterlo in una borsa,
dentro la quale giacciono molti connazionali.
Andati come me,
spinti nel fuoco, nel focolare,
all’alba.

Arrivederci, miei cari.
Addio, Wuhan, la mia città natale.
Spero che, dopo il disastro,
ti ricorderai che qualcuno ha provato a farti sapere la verità il prima possibile.
Spero che, dopo il disastro,
imparerai cosa significa essere giusti.
Mai più brave persone
dovrebbero soffrire di paura senza fine e tristezza indifesa.

‘Ho combattuto la buona battaglia, ho finito la gara.
Ho mantenuto la fede.
Ora c’è in serbo per me la corona della giustizia” (Li Wen Liang).