lunedì, 29 Aprile 2024
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Rapporto. In un anno 365milioni di perseguitati: Kim e Ortega scatenati sui cristiani

Quadruplicati gli attacchi alle attività economiche. Nani: «La crescente instabilità politica in Africa subsahariana acuisce la violenza religiosa». Il Nicaragua «scala» venti posizioni in 12 mesi
Arresti, abusi, torture, esclusione dal lavoro, addirittura morte. Un cristiano su sette nel mondo – addirittura uno su cinque in Africa e due su cinque in Asia – è vittima di gravi forme di persecuzione. Un totale di 365 milioni persone in oltre 70 Paesi. Il record negli ultimi trentun anni. Insieme alla quantità, aumenta la velocità con cui le discriminazioni si estendono nel tempo. E nello spazio: le nazioni al alto rischio sono passate da undici a tredici.
L’allerta è contenuta nel nuovo rapporto di Porte aperte/Open doors che analizza il periodo tra il primo ottobre 2022 e il 30 settembre scorso. Al primo posto della tragica lista degli Stati più pericolosi per le Chiese c’è ancora la Corea del Nord, in cima alla classifica dal 2002, salvo nel 2022. Il regime di Kim Jong-un pratica una politica di tolleranza zero nei confronti delle religioni. A Pyongyang è, dunque, di fatto impossibile per i cristiani vivere in qualunque forma la propria fede.

Seguono due Stati africani – Somalia e Libia – flagellati da un’instabilità endemica e dalla presenza di gruppi estremisti di matrice islamista che approfittano del caos per agire indisturbati. I non musulmani sono costretti a nascondere il proprio credo: se scoperti rischiano la morte. Nelle carceri libiche, inoltre, son rinchiusi migliaia di migranti, molti sono cristiani, presi di mira anche a causa del proprio credo.
Non va molto meglio in Eritrea, in quarta posizione o in Yemen, in quinta, dove il conflitto prolungato ha reso ancor più precaria la condizione dei battezzati. La Nigeria, al sesto posto, con 4.118 assassinati e oltre 3.900 rapiti, resta il luogo più letale e più violento per i cristiani mentre il Pakistan, al settimo, si conferma il secondo.

L’Iran è sceso al nono, non, però, a causa di cambiamenti positivi all’interno bensì per il peggioramento dello scenario degli Stati che lo precedono. A Teheran e dintorni, i non islamici sono costretti a incontrarsi a piccoli gruppi nelle case dato che gli edifici di culto sono percepiti come una minaccia per l’egemonia degli Ayatollah.
Un lievissimo miglioramento si registra invece in Afghanistan. Anche in questo caso le cause sono complesse. I primi due anni dell’Emirato taleban sono stati caratterizzati dalla fuga dei cristiani. Chi è rimasto è stato ucciso o si è convertito all’islam. Per questo, gli studenti coranici hanno dato per “debellato” il pericolo rappresentato dagli “infedeli”. Negli ultimi mesi, dunque, hanno allentato la morsa per concentrarsi sul consolidamento del regime.

Nel Sudan vittima della guerra esplosa ad aprile, invece, la vita dei cristiani è diventata ancora più difficile e il Paese è salito di due posizioni, arrivando all’ottava. Lo scenario sudanese sintetizza un fenomeno che riguarda l’intera regione. «La crescente instabilità politica in Africa subsahariana – sottolinea Cristian Nani, direttore di Porte aperte/Open doors – fa aumentare la violenza su base religiosa».
Chiudono la “top tredici”, India – dove le vessazioni sono opera soprattutto degli estremisti induisti sostenuti di fatto dall’attuale governo di Narendra Modi –, la Siria in conflitto latente e l’Arabia Saudita.
A livello generale sono calati lievemente gli omicidi a causa della fede. Nel 2023 sono stati 4.998, più di seicento in meno rispetto al periodo precedente. A crescere esponenzialmente, invece, sono stati gli assalti, le chiusure e le confische di chiese e proprietà ecclesiali pubbliche, inclusi scuole e ospedali: si parla di quasi 15mila.
Sono addirittura quadruplicati gli attacchi alle attività economiche dei battezzati: oltre 27mila. Una strategia quest’ultima che punta a privare la comunità della possibilità si sostenersi, costringendola spesso alla fuga. Il rapporto parla di “Chiesa profuga”, un fenomeno in costante incremento come le pressioni quotidiane. Una forma di persecuzione meno evidente della violenza ma ugualmente feroce che si esprime in impedimenti di accedere a determinati impieghi, la negazione di cure o dell’istruzione, minacce.
Un caso peculiare è quello nicaraguense. La campagna d’odio di Daniel Ortega ha fatto schizzare il Paese di venti posizioni in avanti, passando dalla 50esima alla 30esima. Vescovi, preti, religiose e religiose sono arrestati o espulsi. Il pastore di Metagalpa, Rolando Álvarez, è stato recluso per 528 giorni prima di essere esiliato a Roma domenica. Porte aperte-Open doors non rinuncia a trovare qualche barlume di speranza. In Mali, ad esempio, a giugno, è stata approvata una nuova Costituzione che riconosce la libertà di fede. E in Sri Lanka gli attivisti segnalano progressi nella formazione dei leader cristiani per difendere i propri diritti.

Eritrea. Da trent’anni sotto il pugno di ferro del dittatore Isaias. La Chiesa locale spogliata di ogni bene e di ogni libertà
Oppressa da 30 anni da un regime dittatoriale di stampo maoista che riconosce ufficialmente libertà di culto solo alle chiese cattoliche e a luterana e all’Islam, l’Eritrea imprigiona i fedeli della chiesa cristiana evangelica e i pentecostali senza accuse.
Sarebbero almeno un migliaio i prigionieri perseguitati per la fede cristiana. Le condizioni disumane delle celle, tanto sovraffollate che i detenuti sono costretti a dormire sul fianco e impossibilitati a stare in piedi, ricavate da vecchi container o scavate sotto terra, sono state appena descritte dal Washington post.
Il governo di Isaias Afewerki, che non riconosce la libertà di espressione, controlla di fatto con un vescovo fedele la principale confessione religiosa nazionale, la chiesa ortodossa eritrea, dopo aver destituito nel 2006 la legittima guida, il patriarca Antonios, e averlo costretto agli arresti domiciliari fino alla morte nel 2022. La sua colpa era aver criticato il presidente.

La guerra del Tigrai scoppiata nel 2020 ha ulteriormente peggiorato la situazione. Il regime ha infatti chiuso o nazionalizzato, applicando una legge del 1995 le scuole e gli ospedali della chiesa cattolica.
La leva a vita cui sono soggetti uomini e donne eritrei, con l’eccezione dei religiosi, ha portato poi a retate di minori anche nelle chiese. Nell’ottobre del 2022 è stato arrestato per oltre due mesi il vescovo cattolico di Segheneiti Fikremariam Hagos insieme a due sacerdoti.
Il prelato aveva detto ai fedeli nelle omelie che era peccato acquistare i beni saccheggiati ai tigrini e aveva criticato i reclutamenti forzati. (Paolo Lambruschi)

Yemen. Una presenza ridotta oramai ai minimi termini, nel mezzo della spartizione tra Houthi e “governo”
La guerra civile rende difficile stimare il numero dei cristiani rimasti nello Yemen. Il Paese è oggi spaccato tra due governi rivali (Houthi e il Consiglio presidenziale), senza parlare delle aree sotto il controllo dei gruppi jihadisti e dei secessionisti del Sud. Nel 2020, si parlava di 400 cattolici, molto meno dei circa 3.000 censiti prima della guerra e costituiti in maggioranza da rifugiati o da lavoratori stranieri con le loro famiglie.
Nel Paese vivono anche piccole comunità cristiane di etiopici, ortodossi russi, anglicani e protestanti e un numero imprecisato di convertiti dall’islam, che praticano la loro fede nella più completa segretezza per evitare minacce, aggressioni e vessazioni giudiziarie con l’accusa di apostasia. I cattolici sono seguiti da monsignor Paolo Martinelli, vicario apostolico per l’Arabia meridionale che comprende anche gli Emirati arabi uniti e l’Oman. La discreta presenza cristiana era un tempo concentrata ad Aden con 4 chiese (tre cattoliche e una anglicana) che oggi risultano distrutte o danneggiate. È in questa prima sede del Vicariato d’Arabia che il 4 marzo 2016 quattro suore Missionarie della carità sono rimaste vittime di un attentato terroristico.
Dal loro martirio è fiorita una presenza tenace della congregazione fondata da Madre Teresa: otto suore che prestano la loro opera in due case di accoglienza per anziani e disabili psicofisici. Con loro un sacerdote italiano che si sposta da una comunità all’altra per garantire i sacramenti ai fedeli rimasti. (Camille Eid)

Lucia Capuzzi mercoledì 17 gennaio 2024 www.avvenire.it