“Eravamo in macchina insieme (accompagnavo Giussani da Cesena a Bologna) e sì dialogava (gli facevo spesso da autista). Sì dialogava e lui fa:…
«Ma senti, tu vuoi bene alla tua famiglia?».
Dico: «Sì».
«Ai tuoi figli vuoi bene? ».
Dico: «Sì».
Lui mi dice: «Fai un esempio!».
Non so chi di voi sia mai riuscito a fare un esempio in merito. Non sapevo che cosa dire. Allora ho detto quello che succedeva:
«Guarda, succede spesso che vado a casa alla seta tardi, o per la professione o per il movimento, e mia moglie (allora abitavamo in una casa piccola), lascia un po’ aperte le porte delle camere per sentire se i figli si lamentano, se si svegliano. Io arrivo e debbo accendere solo le luci di entrata, perché se accendo le altre i figli sì svegliano e sono guai seri, perché mia moglie su queste cose… Accendo la luce di entrata, vado dentro pian piano, mi spoglio in corridoio senza far rumore; dalle porte socchiuse filtra questa luce che illumina i lettini in cui ci sono i figli. E’ difficile descrivere, mi prende una tenerezza infinita nel vedere quei gomitolini lì sul letto. Allora io furtivamente vado dentro, ne prendo su uno, e qualche volta sì svegliano: “papà!”, “Sssttt! Se no la mamma…..”. Li stringo un po’, me li sbaciucchio…»
Allora dico a Giussani: «Insomma, mi sembra di volergli bene».
E Gíussani fa:
«Non è mica così che si vuol bene. Guarda, il modo vero di voler bene è che, proprio quando questa tenerezza è intensa, vera e trascinante, umanamente trascinante, dovresti fare un passo indietro, guardarli e dire: “Che ne sarà di loro?”, perché, voler bene è capire che hanno un destino, che non sono tuoi, (sono tuoi e non sono tuoi), che hanno un destino e che è proprio guardando la drammaticità che il destino impone… che tu li rispetterai, gli vorrai bene, sarai disposto a fare tutto per loro, non ti farai ricattare dal fatto che ti obbediranno o no».
(Enzo Piccinini, Tu sol pensando o ideal, sei vero, suppl. a Tracce n° 6 1999, pp. 15-16)